AMEN

 

di Stefano Antonio Lazzari

 

AMEN

 

Si guardò le mani: erano nere ed adunche come quelle dei morti carbonizzati mentre il muso e le ali erano uno sfacelo di rottami lignei e metallici, bruciati e contorti. «A trecento metri dal suolo??» pensò Oliver scotendo la testa come per scacciare un colpo di sonno e tutto tornò normale: mani ed aereo.

Il suo istruttore, tempo fa, non gli aveva mai parlato di "allucinazioni da volo" e lui non ne aveva mai sentito nominare ma evidentemente qualcosa doveva essere successo nella sua testa dopo il decollo dal piccolo aeroporto privato. Decise di tornare a terra e virò di uno otto zero gradi per poi ripercorrere i quindici chilometri che gli rimanevano per tornare indietro, all'aeroporto di partenza.

Era proprio un peccato, comunque, non sfruttare quella bella giornata con poco vento e nuvole alte per il primo volo col suo nuovo aereo, anche se "nuovo" non era la parola esatta visto che era a bordo di un autentico residuato bellico della Prima Guerra Mondiale acquistato da un privato dopo avere vinto una discreta somma ad un gioco televisivo.

I commenti dei suoi amici aviatori al campo di volo erano stati entusiastici sconfinando nello scurrile quando Oliver offrì loro anche da bere, commentando la sua "fortuna" situata in basso, sotto la schiena...

Il motore tossì un paio di volte e Oliver si accorse che sul muso, dove avrebbero dovuto trovarsi le mitragliatrici, si era aperta una fila di fori rotondi che lo attraversavano. Sbalordito si guardò attorno: ovviamente non c'era nessuno né tantomeno un fantomatico aereo che lo attaccasse. Oliver provò a scuotere ancora il capo ma quando aprì gli occhi i fori sulla cappottatura del motore gli restituirono lo sguardo, beffardi... Dai tubi di scappamento del motore usciva del fumo nero; disperato Oliver ridusse la potenza del motore, cabrò poi virò seccamente a sinistra e si accorse che uno dei sostegni che tenevano ferma l'ala sinistra bassa con quella alta, il longherone più esterno, era spezzato e ne restava solo un moncone alto pochi centimetri mentre altri fori rotondi si aprivano sull'ala strappando la tela e rompendo la struttura interna.

Il vecchio aereo ora sussultava e tendeva a picchiare verso sinistra e Oliver stringeva con tutte e due le mani la cloche quando vide altre due mani incorporee ed insanguinate sovrapporsi alle sue. Incredulo, vide che le altre mani pilotavano in maniera esperta e le assecondò. Un vento freddo lo sferzava su tutto il corpo e avrebbe dato l'anima per guardare contemporaneamente dappertutto; aveva in bocca il sapore metallico del sangue e della paura mentre le mani sudate dentro ai pesanti guanti stringevano la cloche quando gridò al vento come se qualcuno, o qualcosa, potesse ascoltarlo:

«Perché io?» «Perché io??» «Perchééééééé?!?!»

Ci fu un orribile rumore metallico nel motore e l'elica si fermò di botto: l'aereo quasi si fermò a metà di una cabrata e si rovesciò sul ventre. E incominciò a precipitare a vite...

Oliver sentiva il vento urlargli nelle orecchie ma capì che era lui ad urlare chissà cosa; la terra si avvicinava velocissima, vorticando come una ruota con i numeri di una fiera, nell' inferno.

La ruota si fermò ed un Oliver urlante toccò terra col muso a più di quattrocento chilometri all'ora; l'inferno esultò quando il suo numero comparve sulla ruota ferma e l'ultimo suo pensiero coerente, o quasi, fu: «Voglio tornare a casa!» prima che le fiamme distruggessero anche i suoi pensieri.

Li trovarono poche ore dopo, Oliver ed il suo aereo: povere cose morte e carbonizzate in uno sfacelo di rottami contorti che fumavano ancora mentre le sue mani nere ed adunche avvinghiavano quello che restava della cloche. Avvolsero Oliver in un sacco di plastica con la cerniera e portarono via i resti dell'aereo.

Rimase solo una piccola targhetta metallica per terra, forse dimenticata, quasi completamente arrugginita con ancora traccie di fumo sui due lati e su uno di questi un'incisione recitava:

TENENTE LIONEL SHAW 07-10-1895

AC1367 ROYAL AIR FORCE.

Sull'erba bruciata rieccheggiarono ancora due pensieri flebili e patetici come sussurri portati da chissà quale distanza: «Voglio tornare a casa...»

 

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